Finirai per trovarla la via, se prima hai il coraggio di perderti... T. Terzani

Ulaanbaatar. Ritorno all'Occidente.

Ripartiamo, con calma, un po’ delusi di non aver trovato una guida per andare al parco nazionale.

In moto sarebbero altri 800km andata e ritorno, tutti in fuoristrada, significherebbe 3-4 giorni di guida; rischioso, siamo già molto stanchi.

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Mancano pochi km ad Arvaikheer, dove i miei amici torinesi sanno che c’è una missione cattolica presieduta da Padre Marengo.

Appena arrivati, sono le 13, ci fermiamo per trovare un posticino per mangiare le solite aringhe, intanto chiediamo ad un signore se conoscesse il Padre.

Una telefonata, due parole in inglese, ed il signore ci accompagna con la sua jeep fino alla missione…incredibile, trovata al primo colpo!

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La chiesa è realizzata in una gher, per dare meno nell’occhio.

Le famiglie si avvicinano alla missione perché qui offrono docce gratuite 2 volte alla settimana, asilo gratuito ed una serie di servizi che in città non si sognano neanche.

Una presenza silenziosa ed importante, non invasiva a quanto ci è parso.

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Ma sono le 13 passate, e la fame aumenta…ci chiedono se abbiamo mangiato..no…neanche a farlo apposta siamo arrivati qui per pranzo e senza batter ciglio le due suore ci preparano delle ottime farfalle al pesto, con frittata, formaggio, pane e dolce finale!!!

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Dopo una chiacchierata sulla cultura mongola e su come la missione sia nata e cresciuta, ci spostiamo a visitare gli altri locali.

I mongoli usano questo ricovero per fare tutto quello che non è permesso a casa loro.

Facebook spopola anche qui.

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Nell’asilo stanno circa 20 bambini, che il primo mese di frequentazione di solito ingrassano di 3-4kg. Tutta salute!

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Questo qua sotto è un bambino, ha i capelli lunghi perché ancora non ha 3 anni, età alla quale gli verranno tagliati a simbolo del passaggio dell’età più critica.

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Ci salutiamo tra mille sorrisi e promesse, è stato bello soggiornare qui seppur per poco.

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Sulla strada per Kharkhorin, la vecchia capitale, non è raro vedere gher e bambini che giocano vicino alla strada.

Due di loro stavano piangendo per non so cosa.

Li chiamo a me, si avvicinano, gli regalo alcuni adesivi, torna il sorriso e si mettono in posa per una foto.

Come soldatini.

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Proseguiamo, le tracce nella valle si moltiplicano.

A volte diventano 10, forse 15, hai l’imbarazzo della scelta.

L’attenzione però va sempre mantenuta alta, sia per la presenza di sabbia a tratti che fa imbarcare la moto, sia per i guidatori mongoli, che non si fanno scrupoli a passarti radente pur di proseguire il loro cammino.

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Incrociamo un tempio buddista in stile tibetano.

Quasi abbandonato.

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Dopo la breve visita ci fermiamo a pochi km dalla città, in un hotel con campo gher, contrattiamo il prezzo ma è veramente difficile spuntarla, otteniamo 10.000 Tugrit a testa per dormire e doccia.

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 Mangiamo nella gavetta una calda minestra di pasta e fagioli con secondo di tonno e piselli.

Niente male.

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La mattina ci svegliamo con la pioggia ed il freddo.

Imbottisco la tuta Moto One, indosso l’antipioggia.

Tutti bardati partiamo alla volta dei templi della vecchia capitale dei tempi di Gengis Khan, il sanguinario imperatore mongolo vissuto nel 1200.

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Un’ora è più che sufficiente per osservarne la storia.

Rimontiamo in sella.

Qualche sprazzo di sole apre il cielo.

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E’ ora di pranzo, e tante sono adesso le occasioni per mangiare, ci stiamo riavvicinando alla “civiltà” e le strade sono costellate di locali dove si fa cucina locale.

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La preparazione delle vivande non è proprio asettica, diciamo..

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Ma l’aspetto finale ed il gusto sono davvero ottimi!

Non so perché ma quando viaggio ho sempre una fame bestiale e quando vedo questi piatti li divoro.

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Proseguiamo, la strada è asfaltata, ma è peggio delle piste.

Delle buche che potrebbero inghiottire un’auto si aprono lacerando la superficie scura dell’asfalto, ogni tanto quest’ultimo lascia posto a tratti sterrati con sassi grossi, le vibrazioni sono tremende, ed il pericolo aumenta quando l’asfalto si fa nuovamente liscio ed acceleriamo, ignorando che la prossima buca è lì dietro l’angolo pronta a far saltare i paraolii di Alex o a farci ondeggiare paurosamente.

Le auto non si fanno scrupoli a frenare improvvisamente o spostarsi sull’altra corsia per evitare le asperità, costituendo un gran rischio per noi.

Arriviamo finalmente ad Ulaanbaatar.

La strada è migliorata negli ultimi km, ma il traffico è veramente caotico.

Ci manteniamo in fila ed uniti, in gruppo, mentre attorno è l’anarchia, clacson, sorpassi azzardati, cambiamenti di traiettoria improvvisi: bisogna stare in tensione ogni secondo per evitare il peggio.

Arriviamo al Golden Gobi. Pieno! Ripieghiamo sul Gana’s Guesthouse, in mezzo al campo gher, un posticino non proprio consigliabile, ma hanno una specie di cortile interno dove ricoveriamo le moto.

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Le stanze non sono il top a pulizia ma i letti sono comodi e la doccia è calda.

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La sera siamo stanchi e non abbiamo voglia di cucinare, ci permettiamo un ristorante coreano per riempire le nostre pance, e godiamo quando ci viene servito questo bendiddio.

Tutto molto speziato, ma ottimo. 8€, neanche.

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Il giorno seguente facciamo un breve tour per UB, la mattinata parte per acquisto dei souvenir da parte degli amici torinesi, io skippo, odio comprare souvenir.

UB è una città moderna, all’occidentale, grandi palazzi e nuove costruzioni si fanno spazio dove una volta c’erano delle gher e campi nomadi.

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E’ il compleanno di Damiano e festeggiamo con un pranzo mongolo.

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Qui siamo proprio nel centro, niente di speciale, una grande piazza, un grande palazzo per il governo, la statua di Sukhbaatar al centro, eroe mongolo che li ha resi indipendenti dalla Cina, ed all’interno dell’ingresso, la rappresentazione del grasso Gengis Khan.DSC01478
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Vicino alla guesthouse c’è anche un tempio, purtroppo è chiuso ma anche da fuori è molto pittoresco.

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Per cena facciamo di nuovo festa, prepariamo un chilo e mezzo di spaghetti alla carbonara, ma mancano sale, formaggio ed abbiamo pure poca pancetta…i locali apprezzano ma gli confidiamo che una carbonara così fatta in Italia può significare la galera!

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Di nuovo mattina.

Ci separiamo, Guglielmo, Damiano ed Alex mi salutano puntando verso la Russia, ammetto che mi dispiace, dopo aver vissuto una tale esperienza insieme.

Ma la mia strada è ancora verso Est.

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