Finirai per trovarla la via, se prima hai il coraggio di perderti... T. Terzani

Il timido Monte Fuji

Hokkaido, fattoria di Saeki: arrivano molti avventori, camminatori professionisti e non che percorrono il “Kiraway”, il percorso ideato da Saeki della lunghezza totale di 71.4km di cui io ne ho percorsi una decina.

Uno degli impavidi che ha terminato tutti i 71.4km (in 2 giorni!) è Naoyuki, che per la notte si ferma nella fattoria.

Scambiamo due parole e capiamo che entrambi abbiamo come obiettivo Tokyo, dove Naoyuki lavora già e studia presso il college, così decidiamo di tenerci in contatto.

Arrivato a Tokyo ecco che con la puntualità giapponese arriva anche il suo messaggio di benvenuto, con “allegato” l’invito a fare un giro attorno al Fuji con lui in auto.

E così, domenica scorsa ci siamo trovati alla stazione di Noborito, Tokyo ovest, per partire alla volta della prefettura di Shizuoka e Yamanashi. Anche Jim, un mio coinquilino, si unisce alla banda.

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Dopo poco meno di un centinaio di km di autostrada ecco che arriviamo al lago Kawaguchiko, dove a differenza di Tokyo la trasformazione della natura ha già preso atto, ed è fantastico vedere come gli alberi siano tinti di mille sfumature, dal verde estivo al rosso intensissimo, quasi fosforescente, dell’autunno.

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Rimango davvero stupito di ciò di cui sia capace la natura qui in Giappone, i colori in foto sono naturali, le tonalità sono veramente quelle accese delle tempere, e mai avevo visto dei rossi così saturi.

Ripartiamo verso un luogo panoramico, e comincio ad avere il sospetto che Naoyuki, da buon giapponese, abbia programmato tutto nel dettaglio!

Purtroppo, come avevamo immaginato, il Monte Fuji è coperto da una coltre di nuvole che lo avvolge, sembra quasi stritolandolo, e quindi il perfetto cono di oltre 3700m non è visibile e neanche avvertibile, dato che le nubi gli arrivano praticamente ai piedi.

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Ma lo spettacolo dalla parte opposta è comunque straordinario: una colata lavica alle nostre spalle ha dato luogo, centinaia o forse migliaia di anni fa, ad una valle dove è cresciuta una speciale foresta, che a chiazze si sta tingendo anch’essa di rosso e giallo.

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Ogni dubbio è fugato quando Naoyuki ci annuncia che adesso andremo a visitare un villaggio tipico giapponese: è chiaro che si è studiato tutto prima di partire, e questo è gratificante, dimostra che l’ospite, come sempre, qui in Giappone è sacro e gli va riservato il migliore dei trattamenti, ma dimostra anche la puntigliosità e l’estrema accuratezza di questo popolo nel fare qualunque cosa, dal lavoro allo svago; a volte può essere un fattore negativo, perché poco lascia all’immaginazione, ma oggi sono contento perché quando passai di qui tempo addietro, a fine settembre, non vidi niente di quello di cui oggi so godendo.

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Il mercato alle porte del villaggio vende alcune stranezze, tra cui calabroni sotto spirito; questi devono essere i famosi calabroni giganti giapponesi, fanno spavento per quanto sono grandi alcuni di essi!

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Entriamo nel villaggio, che è chiaramente una ricostruzione, anche perché, come spiegano alcune immagini, a inizio ‘900 c’è stata una grande frana che ha portato via l’originale con una ondata di fango distruttrice.

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L’aria è paciosa e verrebbe voglia di tornare indietro di qualche decina di anni per capire come si viveva veramente in questo luogo.

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All’interno di questo museo all’aperto si trovano artigiani e coltivazioni tradizionali, come ad esempio quella della radice di wasabi, che come il riso ha bisogno di essere coltivato immerso nell’acqua, addirittura qui piccoli canaletti convogliano un flusso continuo di acqua entro un terreno speciale fatto di ghiaia lavica.

Il problema nella produzione del wasabi è proprio l’approvvigionamento dell’acqua, perciò sembra che prima o poi l’agricoltura sarà in difficoltà nel rispondere alla domanda di wasabi giapponese.

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Si riparte, mi vengono in mente i tour guidati giapponesi, quando i turisti del sol levante vengono in Italia ed in 5 giorni si vedono 6 città, un ritmo pazzesco, ma li capisco anche, in media i giapponesi hanno 10 giorni di ferie l’anno e il tempo a disposizione va sfruttato a fondo!

Arriviamo alle cascate di Shiraito, sono famose non tanto per l’altezza o la mole d’acqua, ma per la larghezza di una delle 2 cascate.

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Il panorama delle cascate è stato designato più volte da più associazioni come meritevole di salvaguardia e dal 2013 è entrato a far parte anche dei patrimoni protetti dall’Unesco insieme al parco del Fujisan.

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La giornata ha il suo termine qui, e mentre ci allontaniamo, evitando di passare dal Fuji Skyline perché non avremmo potuto ammirare il panorama causa nubi, ecco che il timido Monte Fuji comincia a svelarsi nell’oscurità.

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Naoyuki ha una sorpresa però, ancora non è finita: sconfiniamo nella prefettura di Yamanashi per arrivare all’Onsen più bello che abbia mai visto.

Ovviamente non si possono scattare foto all’interno, ma dal piazzale soprastante ho rubato questo scatto che forse dà l’idea del grado di relax che si può raggiungere immersi nell’acqua calda, all’ombra delle stelle, con un panorama del genere.

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Dopo aver recuperato le forze grazie al bagno caldo, ci rimettiamo in marcia verso Tokyo, con una fermata all'”Autogrill” giapponese per una mangiata da re: Tonkatsu al curry, una delizia che non avevo ancora assaggiato, la ciliegina sulla torta per terminare alla grande una giornata sensazionale, grazie Naoyuki!!!

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Il regalo più bello.

Sono sempre stato uno molto legato alla famiglia, vuoi perché sono stato il primo della mia generazione, il più coccolato, quello che forse ha ricevuto di più e meglio a livello materiale, di esperienza, educazione, ed è perciò che la famiglia per me rimane al posto numero 1.

Ieri ho festeggiato il mio primo compleanno intercontinentale, fuori dai confini italiani, a 20.000km da casa, con nuovi amici ma in assenza delle persone che hanno fatto parte della mia vita da sempre.

Triste?

No, non è stato triste, anzi, direi quasi entusiasmante, festeggiare un traguardo così importante in un momento topico della vita, in cui si deciderà un futuro più o meno simile a quello delle aspettative e delle ambizioni.

Però mi sono mancati quei momenti in cui coglievamo l’occasione, con la scusa del compleanno, di trovarci tutti insieme attorno ad una tavola per festeggiare, dato che da quando siamo diventati “grandi” le occasioni per stare insieme sono diventate sempre più rare, tra impegni dell’uno o dell’altro.

Adesso, per “colpa” mia questo non è potuto accadere…

La soluzione l’ha trovata mia sorella Irene, dandosi da fare per realizzare un emozionante video dove ha raccolto gli auguri di amici, colleghi e parenti, per una lunga videodedica da lucciconi.

Non ho parole per esprimere la mia riconoscenza: è stato un regalo inaspettato e sinceramente il più bello che potessi ricevere!

Grazie perciò a tutti coloro che mi hanno dedicato qualche parola e che hanno figurato in questo video…emozioni uniche che solo una famiglia e degli amici come i miei potevano regalarmi!!

GRAZIE!!!

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27 anni fa nascevo a Firenze, mentre 4 mesi fa da lì partivo per arrivare a Tokyo.
Se mi sento realizzato?
Si e no, non si finisce mai di apprendere, e la curiosità, adesso più verso le mie capacità che non verso il mondo che mi circonda, mi spingono a cercare sempre qualche motivazione in più per vivere la vita appieno e con soddisfazione.
Novità in arrivo!
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Arai. Mettici la testa!

Da cosa nasce cosa, e dalla collaborazione con BER Racing, importatori ufficiali Arai in Italia e Spagna, è nato un contatto con la sede giapponese di Arai Helmet Co. Ltd.

Francesco e Giacomo Bombarda, insieme al loro ufficio stampa, hanno creduto in me fin dall’inizio, e ciliegina nella torta, mi hanno dato la possibilità di andare a conoscere di persona Mr Arai e toccare con mano la differenza che fanno in questa azienda al limitare di Tokyo, esattamente ad Omiya, prefettura di Saitama.

Parto la mattina presto dalla mia nuova residenza a Tokyo, Sendagaya, non c’è molto traffico e riesco a “navigare” bene trovando una scorciatoia di oltre 10km rispetto alla strada suggerita dal navigatore, che qua in Giappone non funziona a dovere.

Riesco addirittura a fermarmi per oliare la catena, altri pochi km ed arrivo ad Omiya, ed ecco che mi si para davanti lo stabilimento principale Arai, quello dove il padre di Mr Arai cominciò la sua attività.

Arai-san all’inizio era produttore di elmetti per soldati, e la sua prima innovazione fu quella di isolare termicamente l’elmetto per conferirgli un migliore confort.

Da lì in poi la passione e l’ingegno lo portarono a realizzare il primo casco in fibra di vetro mai prodotto in Giappone.

E da allora molto è cambiato, ma non troppo: il loro concetto primario è sempre uno, la sicurezza.

Ed è quando Mr Arai ha pronunciato queste parole che ho capito quanto avessero a cuore questa faccenda.

“We don’t look for standards, we look for safety. That is very different.”

Con Akihito, che preferisce essere chiamato semplicemente Aki, cominciamo il tour dell’azienda: passiamo prima dalla hall of fame, dove si trovano i caschi di campionissimi di Formula 1, MotoGP, SuperBike etc.

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Ci spostiamo brevemente nella sala test, dove un “Astro” sta per vedere la sua fine schiantato contro un bersaglio metallico.

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La botta è forte: i test Snell ECE prevedono la caduta libera da 3m circa, che qui è ripetuta 2 volte.

Il limite massimo consentito assume un valore di 300 (non conosco l’unità di misura) ed il test effettuato senza casco precedentemente mostrava una statistica ben al di sopra, circa 700, mentre con il casco indosso siamo entro i 180; questo dimostra quanto sia fondamentale indossare un casco.

Non contenti, i tecnici Arai mi hanno voluto mostrare una vera e propria chicca: l’Astro è un casco da moto, ma loro lo sottoporranno ad un test da Formula 1, ben più severo, con una caduta libera da un’altezza di 5m.

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Incredibile, in Formula 1 si potrebbe correre regolarmente con un casco da moto omologato per strada!

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La filosofia Arai impone che tutti i caschi, dal più economico al più costoso, abbiano lo stesso standard di sicurezza, quello che fa variare il prezzo sono i materiali utilizzati, la sicurezza rimane però la medesima: l’Astro è un casco di fascia non top, eppure supera più che abbondantemente i test.

E lo stesso casco che indossa Dani Pedrosa è quello che indossi tu, niente differenze.

Passiamo alla prova di perforazione, necessaria perché quando cadi potresti sbattere la testa su un oggetto appuntito.

Un percussore dalla punta acuminata è lasciato cadere da 3m.

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Prova superata anche in questo caso, i macchinari mostrano che non è stato raggiunto il punto critico dove il percussore avrebbe colpito l’eventuale testa all’interno.

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E qui la prova sulla pista, il casco di un pilota del campionato giapponese che urtando contro un’altra moto ha avuto la possibilità di salvare la propria testa.

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Passiamo al fabbricato successivo, dove Aki mi mostra le fasi di lavorazione, queste purtroppo non è stato possibile fotografarle.

Dei macchinari aspirano frammenti di lana di vetro su una sagoma tridimensionale che avrà la forma del casco finale, una volta formato questo viene passato alla resinatura, non viene usata molta resina perché altrimenti perderebbe di elasticità ed acquisterebbe troppo peso.

Vengono aggiunti strati successivi di fibra e kevlar, credo, non mi viene svelato niente di più a riguardo.

Si passa poi al controllo severo dello spessore.

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Se il casco ha lo spessore giusto viene impilato per essere portato alla fase di lavorazione successiva.

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Se invece non rispetta lo standard, fa questa fine.

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Nel container noto anche dei sacchi con un materiale che pare differente, Aki non si esprime su questo e dice che è un materiale prototipo in fase di sperimentazione.

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Troviamo anche la sagoma del mio casco, il Tour-X4, dai bordi scuri perché tagliati al laser; un taglio all’acqua non sarebbe conveniente perché lascerebbe la superficie di taglio frastagliata con possibili fratture future.

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Fine del tour della mattina, andiamo al ristorante giapponese e gustiamo l’ottimo piatto del giorno composto da salmone, riso, zuppa di miso, tsukemono e tempura.

DSC04156Ci spostiamo nell’area verniciatura e stuccatura, un settore delicatissimo, perché in fondo la vernice ha maggiormente funzione estetica e ne deve essere usato un quantitativo minimo per dare anche la giusta protezione alla resina dal fattore solare.

Non entriamo però, se non prima di essersi tolti scarpe e stivali ed aver indossato le speciali ciabatte Arai!!!

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I caschi sono arrivati qui dal precedente fabbricato, sistemati in fila pronti ad essere verniciati.

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Abili maestranze ripetono un gesto fluido e mnemonico passando uno strato di vernice sottile e omogeneo.

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Alcuni addetti rimuovono con cura i pinhole (“forellini” nella vernice dati dalla presenza di polvere o sostanze oleose) ed altri si occupano della stuccatura.

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La vernice è sempre troppa, fa peso, quello che non serve si toglie, conferendo al casco un aspetto ancora più omogeneo ed una superficie liscia come la pelle di un bambino.

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Settore Decal: una schiera di ragazze, che si sa, hanno le mani d’oro e sono più precise per questi lavori, si dedicano alla decorazione dei caschi tramite l’apposizione di decalcomanie sottilissime e molto delicate.

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Vorrei provare anche io, ma è meglio se lascio fare, mi accontento di una foto.

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Mi concedono di togliere la pellicola che protegge le decalcomanie…è anche troppo, non vorrei rischiare di rovinare un casco così prestigioso!

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Passaggi finali, siamo adesso alla personalizzazione con accessori immancabili quali guarnizioni, incollate a freddo, ed inserimento della calotta interna in espanso a 5 diverse densità (si, 5 densità diverse per ogni parte della testa, che assorbono il colpo in modo studiato).

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Infine, l’apposizione del cinturino, un’operazione di fondamentale importanza: ricordate l’incidente occorso a Simoncelli? In quell’occasione cedette l’aggancio del cinturino al guscio esterno in fibra del casco, perciò lo perse durante l’incidente.

Ed è proprio per questo motivo che questa delicatissima operazione è consentita soltanto a 3 operai muniti di licenza apposta sulla parete. Loro 3 e nessun altro.

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Finitura: inserimento di visiera, placche, viti.

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E preparazione alla spedizione: per il mercato interno Arai vende direttamente ai concessionari, per il mercato oltreoceano si affida a dei distributori, uno dei quali è la BER di Modena.

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Io ho anche provato a portare via “qualche” casco…per un valore forse di 30.000€!!!

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Fine del tour.

Ho visto qui all’Arai rasentare la perfezione, come solo i giapponesi sanno fare, controllo multipli ed incrociati da parte di persone diverse ed addirittura in luoghi diversi, per realizzare un casco che è al top a livello mondiale.

Un’altra grande soddisfazione? Mettere la mia firma accanto a quella di Aldo Drudi, sulla Wall Arai.

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Il saluto all'Ambasciatore.

E’ l’ora.

Arrivato a Tokyo da un paio di giorni, comincia (o continua?) la mia serie di appuntamenti più o meno istituzionali.

Oggi, grazie all’impegno di Guido, incontrerò l’ambasciatore italiano a Tokyo Domenico Giorgi.

Ma prima mi incontro con il giornalista de “Il Sole 24 Ore” Stefano Carrer, con il quale realizziamo un’interessante e simpatica intervista.

Ci troviamo davanti all’Hotel Ana InterContinental; mi sento un po’ impacciato e fuori luogo dinanzi al lusso dell’albergo e delle persone che lo frequentano.

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Sono molto onorato. La mia intervista comparirà in prima pagina sul sito del Sole.

La trovate qui: INTERVISTA – VIDEO

Subito dopo ci dirigiamo verso l’Ambasciata, a Minato-ku (per intendersi vicino alla Tokyo Tower), dove mi aspetta anche Antonio Fatiguso, giornalista ANSA, per realizzare un’altra video-intervista: mi sento quasi un V.I.P.!

Sono le 17 in punto, il cancello dell’ambasciata si apre ed il carabiniere in divisa mi fa cenno di entrare.

L’ambasciatore è già lì ad aspettarmi.

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La conversazione è piacevole ed a tratti pure scherzosa, l’ambasciatore sembra una persona alla mano nonostante il ruolo che ricopre.

E’ un piacere stare qui, in questa isola di italianità all’interno di una megalopoli dall’altra parte del mondo, è come sentirsi protetti, a casa.

C’è tempo per le foto di rito e per un caffè all’interno.

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Prima di salutarci, l’Ambasciatore vuole esprimere la sua vicinanza e si mette a disposizione per qualsiasi evenienza: lo so, saranno pure parole di rito, ma pronunciate di persona da una tale figura fanno sempre un certo effetto, e sono sicuro che se davvero avessi bisogno, qui sarei certamente aiutato.

Un’ultimo sguardo alla scrivania, mentre me ne vado con un pizzico d’orgoglio ed un bel sorriso stampato sotto al casco.

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Grazie Ambasciatore Giorgi!

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Watashi wa Tokyo ni imasu!

La mia avventura alla Yamaha è durata una mattinata, molto intensa, vissuta appieno, ma adesso devo guardare oltre, verso l’ambita tappa di un viaggio che è più di una semplice strada. Prendo il by-pass, statale n° 1, che rapidamente mi conduce fino ai piedi del Fuji: è sempre uno spettacolo vederselo lì, spuntare dal niente, in mezzo alla pianura stagliarsi con i suoi 3600m, in una figura perfetta, conica, senza sbavature, quasi fosse stato modellato dall’uomo.

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L’atmosfera del crepuscolo poi, che ne illumina solo la vetta, la bocca del vulcano inattivo, lo rende ancora più affascinante e divino.

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Su consiglio di un tenerista giapponese di quelli incontrati ad Iwata, Masahito, mi dirigo verso il lago Saiko, alle pendici del Fuji sul suo lato occidentale.

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Arrivo a sera tarda ma non rimpiango certo la scelta: costa 1000Yen dormire qui, non è male, anche se purtroppo non hanno la doccia.

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Questa è la mia ultima notte di viaggio, e come concluderlo meglio se non in tenda. Ogni volta che entro nella mia Quechua verde mi sento come a casa, chiudo la veranda e la sensazione di calore aumenta. Esco per cena, mi preparo due buste di thai noodles ai gamberi che ancora conservo dall’Italia.

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Sono stanco, non vedo l’ora di dormire. I pensieri cominciano ad accavallarsi. Impossibile spiegare come ci si senta al termine di un viaggio durato oltre tre mesi e mezzo, dopo 21.000km, disavventure che adesso ricordo con un sorriso, avventure che adesso ricordo con un velo di nostalgia. Le persone incontrate, eccole che mi appaiono in fila, le loro facce davanti ai miei occhi, i paesaggi che ancora mi fanno girare la testa, ed una sensazione di malinconia senza fine, adesso che sì, ho realizzato quello che da tre anni sognavo. Sembra ieri che sono partito. Sembra di aver vissuto una vita intera, allo stesso tempo.

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Mattina. Il mio the al lampone è pronto, e la torta acquistata ieri al 7-11 mi attende, invitante, sul tavolo in legno del campeggio.

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Rifletto ancora, la notte sembra abbia portato consiglio. La mia missione non è ancora finita. Adesso devo arrivare a Tokyo, prendere le chiavi della casa condivisa, vivere lì almeno uno o due mesi. Una grande scommessa, chissà cosa mi riserverà il futuro: sarò in grado di sopportare la pressione di una città così popolosa, di riuscire a mantenermi? Quel che sarà sarà, non è importante, l’importante è sapere di averci provato.

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Prima di Tokyo mi aspetta il Fuji, non posso andarmene senza averlo scalato, almeno in moto! Giro l’angolo della strada e mi appare incappucciato, con un cappello di nuvole a tappargli la “bocca”.

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Prendo il Subashiri Trail, l’inizio non è male, tra gli alberi che cominciano a cambiare colore, un asfalto perfetto e l’attesa delle curve e tornanti dietro l’angolo.

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La moto, salendo, fatica un po’, già all’altezza del mare la sentivo un po’ fiacca e molto fuori carburazione salendo oltre i 5000rpm, adesso che salgo in montagna le manca proprio il respiro.

Arrivo alla stazione dei 2000m, mi faccio un breve giro di una mezzoretta per arrivare a delle cascate adesso inattive. Il paesaggio ha molta vegetazione, che lo fa assomigliare ad una montagna, ma che inevitabilmente il basalto e la roccia nera che costituisce il terreno ricorda che altro non è che un vulcano inattivo…beh, spero che lo sia, inattivo!

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Purtroppo il meteo inclemente ha portato nuvole quassù e non riesco a vedere la vetta, né la pianura sottostante.

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Mi porto a casa il mio souvenir, non compro mai stupidaggini alle bancarelle, questi tre sassetti saranno il mio ricordo del Fuji.

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E’ ora di pranzo, mentre che attendo speranzosamente che le nuvole se ne vadano, e consumo l’ultima riserva di cibo russo: mais al vapore e polpette di pesce. Mi ricordo che andavo matto per queste polpette, adesso non riesco a immaginare come diamine potessero piacermi, ero proprio messo male in Russia!

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Devo ripartire, la situazione dopo un paio d’ore non cambia.

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Ci sono, di nuovo. Tokyo. La città più grande del mondo, la più popolata al mondo con i suoi 37 (trentasette) milioni di abitanti. Una cosa immensa.

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Sono quasi impaurito da questa città di proporzioni abnormi, ma mi basta ascoltare un attimo il borbottare dell’ottoemezzo che ogni paura scompare.

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Non faccio a tempo a sistemarmi nella mia nuova abitazione che già è tempo dei saluti. Dopo essere stato calorosamente accolto dal fiesolano Guido nella sua abitazione di Meguro, dove ho passato la prima notte, si fa vivo Henry, un ragazzone di Mercatale V.no (frazione di Montevarchi) che lavora qui all’ambasciata, nell’ufficio militare, da ormai un anno. Vado a trovarlo!

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Torno a casa, è la sera del mio primo giorno a Tokyo, già mi rendo conto delle sue dimensioni spropositate, solo per arrivare in ambasciata ho fatto 6km a piedi, ma ne è valsa la pena, mentre passeggio mi si apre la vista sulla Tokyo Tower, suggestiva di notte molto più che di giorno.

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Tokyo di notte è meravigliosa.

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Tra grandi sbalzi d’umore giornalieri, spero di consumare una fetta importante di tempo ed emozioni in questa città dalle mille risorse.

Intanto sarò qui fino a novembre, poi vedremo…

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Bentornata a casa.

28 Settembre, devo salutare le Manjushaka per partire la mattina verso le 9, direzione Iwata.

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Queste ragazze sono una forza, piene di energia!!!

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Passo anche a salutare il simpatico benzinaio che aveva chiamato Nozomi la prima sera, per farmi venire a prendere al suo distributore, dato che non trovavo la loro abitazione.

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Faccio il pieno e parto.

La prima grande città è, ovviamente…Tokyo!

E’ di nuovo una forte emozione vederne i grattacieli sbucare da dietro la collina, mi commuovo come già mi era capitato nella traversata da Sakhalin ad Hokkaido, mentre vedo la Tokyo Tower svettare col suo bianco/rosso in mezzo agli edifici.

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Dopo essere uscito da Tokyo, caotica in periferia ma scorrevole in centro, e dopo aver rischiato una multa per aver sorpassato la linea continua gialla (per avanzare la coda ad un semaforo), mi fermo in quello che sembra un posto tranquillo e più arieggiato per fare il mio pranzo..ho i minuti contati, sono già in ritardo, e menomale che le Manjushaka mi avevano preparato un delizioso bento!

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Sono ormai vicino ad Iwata, la sera e il buio si approssimano.

Ho dovuto percorrere una 50ina di km in autostrada, spendendo i miei bei 1500Yen, azz..davvero un sacco, di nuovo, circa 12€!

Ma altrimenti avrei ritardato davvero troppo, e con i giapponesi, si sa, è meglio essere puntuali!

I pochi km che mi separano da Iwata mi riservano una bella sorpresa, vedo tanti bei campi con dei cespugli perfetti, che mi chiedo cosa siano: alla fine scopro che sono coltivazioni del famoso Ocha, il the verde giapponese.

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Arrivo al concessionario Yamaha YSP, dove Kasai, che lavora in Yamaha Motor Japan, mi stava aspettando da una ventina di minuti.

Salutiamo il proprietario ed andiamo a casa sua, dove passerò la notte…sono emozionato, mi sento già parte della famiglia Yamaha!

E il bello è che parla anche italiano!

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Kasai ha lavorato diversi anni a Milano, ma da oramai 20 anni è di nuovo in Giappone, nonostante questo ricorda molto bene l’italiano, ed anche sua moglie riesce a parlare qualche parola.

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Per cena c’è un lautissimo pasto a base di sashimi, insalata, riso, carne e chi più ne ha più ne metta…ed addirittura c’è la dedica negli hashi!

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Non è finita, credevo di godere già abbastanza, poi Kasai accende la tv e scopro che si corre la MotoGP, adesso!! E’ la prima volta che vedo un gran premio durante il viaggio, sono gasato!

Kasai gufa tutto il tempo perché gli hondisti in testa cadano, così accade e lui balza in piedi per festeggiare la vittoria di Lorenzo, fotografandone l’arrivo al traguardo addirittura!

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Colazione: chi è stato in Italia sa cosa piace agli italiani, e così ecco delle fantastiche brioches con latte e frutta!DSC03657

Saluto la casetta e la mia stanza sul tatami sperando di tornare a far visita qui.

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Adesso è tempo di…Yamaha!

Appena dai palazzi appare l’enorme scritta Yamaha sopra al palazzo degli uffici strabuzzo gli occhi e prendo un gran respiro, emozionato!

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Kasai mi dà l’ok per l’ingresso al Communication Plaza, varco il cancello, svolto a destra e…WOW…non posso crederci..

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Un’accoglienza calorosissima e inaspettata…non ho parole, veramente, arrivare qui da Montevarchi, dopo 21.000km e 3 mesi e mezzo di viaggio, ed essere accolti ufficialmente da tutto il Communication Plaza Yamaha, è davvero qualcosa di unico!

Non posso non allegarvi anche la sequenza video…aguzzate le orecchie, il “WOW” che ho scritto poco sopra l’ho anche esclamato da dentro il casco appena avvistata la folla!

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La folla si riversa attorno alla moto per osservarla da ogni angolazione.

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E noto con piacere che anche alcuni amici del Club Ténéré Giapponese sono presenti, alcuni arrivano addirittura da Tokyo, è un’enorme soddisfazione vederseli qui ad aspettarmi!

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La rigida “schedule” programmata dal team Yamaha prevede anche alcune pause, approfitto per visitare il Museo, a partire da alcune leggende.

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Le mie colorazioni…la vecchia sulla destra e l’attuale sulla sinistra.

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Yamaha ha anche progettato motori da auto per Toyota, e la divisione musicale ha progettato gli interni della sportiva Lexus in modo che il sound del motore avvolgesse il pilota in una potente sinfonia.

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Dopo aver visionato un power point ed un film a proposito della storia Yamaha con Masuzaki san, è l’ora di spostarsi presso la fabbrica, e qui c’è un’altra sorpresa: sul portone di ingresso c’è affisso un cartellone plastificato di benvenuto con su il mio nome!

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Gli amici teneristi mi salutano, alcuni li rivedrò a Tokyo, altri tornano ad Hamamatsu.

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E’ l’ora del “business” lunch al Caffè del Communication Plaza, torna anche Kasai e c’è il suo boss (sulla sinistra).

Intratteniamo una piacevole conversazione e ricevo apprezzamenti sulla moto, sono molto gratificato.

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Per l’occasione in Yamaha avevano anche issato la bandiera italiana, un grande onore!

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Kasai, gentilissimo, si offre di accompagnarmi ad un tempio shintoista qua vicino.

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E’ bello e ben conservato, sembra sia originale e non ricostruito.

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Ci salutiamo infine, con la promessa di rivedersi, io gli butto là scherzosamente di vedersi a Motegi se mi troverà un pass, vedremo!

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Grazie Yamaha, Grazie Kasai!

 

 

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Categories: 2014, Racconti di viaggio

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